Qualcuno si ricorderà che il CSM bocciò per ben due volte Giovanni Falcone, prima nel 1988 quando gli preferì un certo Mele per guidare l'ufficio istruzione della procura di Palermo e poi nel '92 quando gli contrappose un altro magistrato per la nuova superprocura antimafia. Dopo pochi giorni Falcone saltò in aria nell'attentato di Capaci, insieme alla moglie e alla scorta. Alcuni giorni prima dell'attentato dichiarò: "mi hanno delegittimato, stavolta i boss mi ammazzano".
In questi giorni il giudice Nino Di Matteo, protagonista delle inchieste antimafia di Palermo, perennemente minacciato dai boss e sotto scorta, si è visto respingere dal CSM guidato dal renziano Legnini la sua richiesta di trasferirsi alla procura antimafia, a cui il CSM stranamente preferisce candidati con molta meno esperienza nella lotta alla criminalità organizzata.
Per completare l'inquietante deja vu, nei mesi scorsi è stata diffusa un'intercettazione in cui Totò Riina confidava ad un altro detenuto la volontà di far fare a Di Matteo "la fine degli altri".
Per evitare di piangere sempre sul latte versato, come capita sempre agli italiani, è auspicabile una mobilitazione istituzionale per spingere il CSM a tornare, stavolta, sui propri passi, evitando di delegittimare in modo tanto clamoroso un magistrato così esposto e impegnato.
A questo proposito, propongo al sindaco Nogarin e al Consiglio comunale di conferire a Di Matteo la cittadinanza onoraria di Livorno, così come hanno fatto Torino, Modena e Messina.
Andrea Romano - Resistere! Azione Civica
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